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…contro “il raffinato orgoglio della rassegnazione” (E. Flaiano)
“..Bisogna essere molto forti per amare la solitudine….bisogna avere buone gambe..soddisfazione del mondo….basta una camminata senza fine per i paesi poveri…dove bisogna essere disgraziati e forti …fratelli dei cani” (Pier Paolo Pasolini)
di Mauro Orlando
Scriveva Heidegger “ogni agire creativo ha luogo nella solitudine e nella consapevolezza dello smarrimento.. individuale e comune”….. questo ci porta a pensare che l’incompiutezza e la finitezza non è il limite del pensare umano ma esattamente il suo senso, essendo “l’essere-solo un modo difettivo” delle esistenza umana.
Esistono tante modalità di essere soli ma esiste una solitudine particolarmente dolorosa che si traveste di lietezza e gioia, quella del Clown.
Non è la solitudine del “satiro” intellettuale, del “flaneur” salottiero … inveterato, illuminista, paradossale e lieve …. intenta a smascherare luoghi comuni, accademismi, vezzi, velleità, mode della decadenze contemporanea. Non è mai una solitudine che produce disincanto, lucidità cinica e malinconica per struggenti disilluse passioni.
Una solitudine che rinuncia a posare sul mondo orrendo e superficiale che lo circonda, che sempre meno gli somiglia, il suo occhio acuto, beffardo e addolorato di irregolare e outsider ironico e sarcastico.
E’ invece la vocazione e la necessità di esporsi che lo costringe alla possibilità della derisione, della vergogna come forma di isolamento o la lontananza dell’altro da sé che ride e non per la performance ma per pigra incomprensione o vera ignoranza.
E’ la figura del “debole omino calpestato”, come lo definì Majakovskij, maschera triste di Chaplin di un goffo e smarrito illusionista “malgrè lui”, maschera tragicomica della solitudine moderna. Una singolare e profonda forma di solitudine di “uno eroe solo … lo sguardo del singolo …” nella incipiente e ormai realizzata società di massa.
Un antieroe dalla solitudine riflessiva e sentimentale che coincide con l’arte stessa sotto forma di volti imbellettati e gesti meccanizzati di “isole “ umane estrapolate e immerse nella folla distratta e selettiva.
A volte il Clown è portato nella sua creatività pretaporter a s-mascherare la solitudine dell’uomo comune che si ritrova a conquistare una discreta popolarità grazie ad atteggiamenti buonisti, leggeri e anche demagogici che possono portare al populismo come raffinata forma di isolamento e disagio di vivere.
E’ la solitudine dell’artista che parla del suo “io” con le parole poetiche o con la musica come scelta estetica e fuga e nascondimento dalla vita che si riscopre solo artigiano solo della lietezza, della gioia e della leggerezza come un forma speciale di “lavorare”.
Lavoro particolare che investe e pratica tutte le energie nella creazione continua dell’armonia inibita … isolandosi dalle passioni e dai sentimenti personali per svelare quelli degli altri.
Una solitudine appassionata in crescente tensione emotiva fertile e prolifica per eliminare le barriere sempre più insormontabili che la modernità ha costruito intorno all’io isolato nella massa, sul divano domestico della propria famiglia, o del estraniante ufficio o posto di lavoro come forma subdola di estraneazione e separatezza dalla vita personale, topo di scrivania o poeta d’ufficio?
E’ la solitudine di una sorte sguardo di archeologo del proprio “io” per ritrovare il “clown” che c’è nel profondo, nelle pieghe, nelle crepe, di ognuno di noi per ritrovare il senso di bene comune e del legame indissolubile e a doppio filo al mondo della memoria e quello della speranza in una continuità che richiede soprattutto consapevolezza e responsabilità.
Una solitudine quella del Clown che punta al riscoperta etica di comportamento ecologico con i territori e i paesi che ci hanno ospitato in una operazione di concreta de-estetizzazione del paesaggio e dei sistemi abitativi nel senso non solo del criterio del “bello” ma del “buono”.
Una solitudine che va con il recupero dei piccoli gesti e delle parole essenziali del suo vero senso di viverla nelle sue diversificate ramificazioni, popolamenti e anche affollamenti.
Il Clown, dunque, non solo come maschera buona dell’antieroe nella modernità infelice e incivile ma come ricerca della parte nascosta, creativa ed eterna nel chiaroscuro di un arte dell’isolamento e della coscienza critica e civica nell’emarginazione.
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